CONFESSIONI DI UNA DONNA ARBITRO
Una giovane donna racconta la propria esperienza di arbitro di calcio in un paese misogino e violento, che non le concede credito: dagli esordi nel cortile alla partita di campionato provinciale, agli insulti dalle tribune; la ragazza, davanti ad una Commissione, dovrà giustificare il proprio operato di arbitro, sapendo che la partita autentica che si sta giocando è la rivendicazione della sua dignità e libertà di donna.
La sua passione sportiva, unita al desiderio di emergere, è soffocata dalle voci maschili (e femminili) di un’Italia cinica che la ferisce, dal fratello che la rimprovera fino al tifoso quindicenne che la insulta, voci che la possiedono e che lei “risputa” per esorcizzarle, voci alternate alle fredde e “pulite” cronache giornalistiche delle singole partite. La donna in calzoncini, casacca nera e fischietto, deve resistere, tra ironia e inquietudine, alla tentazione di tramutare il corpo femminile nel solito campo di gara del desiderio maschile. La trasgressione di cui è accusata, tacitamente, è quella di avere osato entrare da protagonista leale nel regno della religione sportiva virile più popolare.
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